FRANCO BASILE

SIGNIFICATO DI UN FIORE

DI FRANCO BASILE

La natura, dicevano i greci, gioca: e giocando assume tutte le forme e i colori che nemmeno la più fervida delle immaginazioni può prevedere. Per cui non vi sarebbe che metamorfosi infinita nelle manifestazioni che attraversano il mondo.

All’improvviso potrebbe uscire dal mare un’isola, il nero più desolato e sinistro potrebbe di colpo dipanare in superficie il rosso che si era celato nel cuore di un grande fuoco, un’area verdeggiante potrebbe scomparire e far posto a una plaga desertica.Carlo Ferrari è un acuto osservatore delle cose che lo attorniano denunciando, nella sua scrittura, un’attenzione molecolare della realtà.

In ciò che gli è prossimo individua un’affascinante direttrice di ricerca, svolge una relazione accurata di una determinata visione della natura senza però perdersi in troppi rivoli incantatori.

Anzi, il suo lavoro è la risultante di un approfondimento dettagliato di pochi elementi tematici, essenziali motivi da cui trarre spunto per stabilire, in queste realtà mutevoli, punti fermi del pensiero, un blocca-immagine compositivo da cui impostare il proprio discorso e rapprendere con il pigmento un’espressione della natura altrimenti destinata alla consunzione.

La vita di Ferrari veste i colori di una suggestione che, nell’analisi acuta dei pochi modelli che lo interessano, sembra non aver fine, come una voce prolungata capace di determinare atmosfere in armonia con il carattere di una visione chiamata fiore. Rosso, nero, toni dell’immediato o indici che escono dal labirinto delle pulsioni oniriche, tratti di colore che dilatano e prolungano l’alone psichico che accompagna il gesto. Petali satinati o carnosi, vividi o sottoposti alla libertà vigilata di un ricordo, trasparenze che si alternano a contesti dai segni erotico-aggressivi, luci che si posano sull’immagine formando un soprassalto riflessivo.

Il fiore per Ferrari non è una semplice circostanza della natura, ma qualcosa di emblematico, un valore aggiunto alla meraviglia ,una forma devozionale che, in fondo, è vocazione poetica, e ogni tocco di pennello è un codicillo applicato alla realtà, un “io”narrante che fa della suggestione nuovo stimolo percettivo.

La casa di Ferrari è in un punto da cui si può spaziare sulla pianura da un lato, e su un parco comunale dall’altro.L’interesse dell’artista sembra propendere per la visione estensiva, quella che abbraccia ,in tutti i suoi dettagli, il trapasso delle stagioni.Dalla finestra l’occhio prende la rincorsa per correre fin dove gli spazi tra frontiera vicina e lontana si fondono per formare gli accenti dell’evocazione.D’estate si possono analizzare i colori e le ombre, d’inverno la nebbia trasforma alberi e case in apparenze della vita, la neve rende la campagna una propaggine di pianura vetrificata. Il pittore prende atto di tutto ciò, lo vediamo con l’occhio dietro la finestra riprendere brani di natura appena smossa da un vento che propone nuove versioni. Pensiamo allora, chissà perché, all’allegoria del vecchio poeta che affidava la propria vista a uno stormo di uccelli che volteggiava per ore ed ore su un campo alla ricerca di un fiore che non c’era. I fiori di Ferrari invece esistono, sono il ferma-immagine di una realtà che, in definitiva, sembra venga presa in considerazione solo come complemento di un mondo fatto di petali.Per il pittore tutto sembra ruotare attorno a un papavero o a una calla.Pochi elementi, si diceva, una devozione che non intende tradire e che gli deriva in parte dai paesaggi che tratteggiava un tempo avendo in mente misure classiche oppure la magia di personaggi come Claude Lorrain.

Adesso il mondo si è fatto ancor più distratto e frettoloso, sono stati mortificati i colori e offuscato, con il giallognolo riflesso della luce irrazionale di città e paesi, lo spettacolo di un cielo stellato. Per questo, forse, Ferrari ha fatto di un petalo un mondo da esplorare organizzando l’immagine in silenzio, come per un cauto attraversamento della solitudine mentre il “gioco” della natura sembra aver perso i passaggi di una volta, condizionata com’è dall’uomo e da ciò che è stato geneticamente modificato.

…fiori come evocazione sensuale, papaveri e calle come pianeti staccati da un universo color fuoco, lastre di madreperla…..

C’è stato un tempo in cui Ferrari amava il sogno, al punto da sentirsi toccato dall’esercizio onirico.

E’ rimasto colpito in particolare dalle invenzioni di Dalì. Ma è stato un momento, come è stata una parentesi la passione per il paesaggio. Ha cancellato scorci campestri e cieli attraversati da nuvole.

Del paesaggio ha conservato solo certe manifestazioni, appunto i fiori, che in breve tempo sono diventati particolari, ingrandimenti rigonfiati su sfondi neutri, siderali: fiori come evocazione sensuale, papaveri e calle come pianeti staccati da un universo color fuoco, lastre di madreperla come un tono algido suggerito dalla luna.

Forse Ferrari ama ancora il sogno, quello che porta lontano e che si associa agli oppiacei tremendi di un elaboratore di fantasie come Odilon Redon, di cui evidentemente deve aver conosciuto la personalissima iconografia, parte della quale ispirata al pensiero del botanico Clavaud, l’uomo che rivelò al chimerico artista le meraviglie del microscopio. Ma Ferrari non analizza i fenomeni della vita col microscopio.Si limita a riprendere ciò che lo appassiona, mette in posa un fiore,ne studia simmetria e colore.Lo osserva da tutti i lati, lo depone su un tavolo o lo colloca in un vasetto, ne analizza striature e macchie, quasi a volersi provocare quell’emozione…,emozione che rivive ogni qualvolta sfila un’immagine dall’archivio dei pensieri.

Il fiore è materia trattata da un gran numero di artisti.C’è chi lo riprende subito, facendo un’istantanea del profumo e della brillantezza che potrebbero svanire da un momento all’altro.

Anche Morandi dipingeva fiori, facendone però una deriva del tempo e della natura. Tra le cose lasciate negli studi di via Fondazza e di Grizzana sono rimaste testimonianze di un interesse che non è stato pari a quello per le nature morte, ma che lo ha portato ugualmente a esiti di grande valore.

I fiori di Morandi erano memorie, quelli freschi facevano presto ad appassire. Li lasciava vicino a qualche oggetto, lasciava che l’aria e la polvere li trasformassero in qualcosa di assai diverso dalla comune visione di due o tre rose in un vaso. Ancora oggi si possono vedere fra i modelli delle nature morte. Alcuni sono di stoffa, con gli anni la polvere ha avuto ragione di tutto, anche del colore. Non hanno più un nome, forse non l’hanno mai avuto:sono una realtà di cui si è persa la memoria. Di essi resta l’incancellabile essenza traslata nei quadri, una nuova realtà che resiste nel tempo.

Nello studio di Ferrari la memoria ha la lucentezza di un petalo bagnato.Non sappiamo se il pittore custodisca esemplari di fiori secchi o di stoffa. Ne dubitiamo, il suo fare non implica affondi in un clima sospensivo come quello determinato da reperti dal sapore metafisico.

…..un’impronta personale, una lingua autonoma in grado di evitare

l’imbalsamatura ibernante del vero…..

Sono esili, quanto mai delicati i soggetti amati da Ferrari, che nel ritrarli usa mille precauzioni:il tempo rischia di farne malinconici residui di una realtà dall’intimità ferita. Come la figura di un cantore epico finisce per accompagnare la presa di conoscenza di queste espressioni naturali nel tempo di cento e cento pose, fino a prendere dimora fissa nella pittura.

Quali i referenti dell’artista, quali ascendenze? Interrogativi che fanno parte del rituale un pò stucchevole che accompagna l’analisi di ogni autore. Ferrari evita l’argomento, si sente libero dalle incrostazioni estetiche che accompagnano l’immagine di molti. Considera talune formulette da prontuario esegetico detriti mentali, come il volerlo consociare al linguaggio dell’iperrealismo. In effetti non ci sembra che la sua scrittura sia dettata da uno “scrupolo di diligenza tecnica” e nemmeno che le sue rappresentazioni tendano al semplice saggio virtuosistico. Sia nella stesura segnica, sia nella disposizione formale dei soggetti, i fiori di Ferrari denotano un’impronta personale, una lingua autonoma in grado di evitare l’imbalsamatura ibernante del vero.

I fiori non sono motivo di illusionismo mimetico, ma il tramite fra realtà e stupore, un modo esile e colorato per condurre Ferrari ad un rapporto sempre nuovo con la vita.

Bologna 2003, Franco Basile