ALBERTO AGAZZANI

VANITATES

DI ALBERTO AGAZZANI

 

Nel considerare la storia dell’arte spesso ci si dimentica che essa è innanzi tutto la proiezione della storia e delle vicende umane dei suoi protagonisti, di uomini e donne mortali che hanno vissuto cercando di vincere i limiti della loro natura e trasfuso in immagini destinate all’eternità il loro pensiero, le loro idee e le loro inquietudini anche e sopratutto in relazione al momento storico che andavano vivendo. Quando si pensa a Giotto, Leonardo, Michelangelo o Morandi si pensa alle opere, ai sublimi capolavori lasciatici e che ne documentano il genio. Raramente ci si sofferma sull’artista in quanto uomo e ad analizzare la sua vita in rapporto con la sua contemporaneità.Non bisogna mai dimenticare che tutta l’arte è, nel supremo e disperato tentativo di sconfiggere la morte, autobiografia, storia personale, vissuto.Si tratta della pù audace sfida contro sé stesso e, quindi, contro Dio in quanto eterno, in quanto idea suprema, in quanto creazione e perfezione, quindi negazione della natura dell’uomo stesso. Nel far ciò l’artista diventa anche il cronista silenzioso di un’epoca, il narratore sensibile di esperienze ed emozioni personali calate e rapportate alla contemporaneità e alle sue scoperte. Conquiste scientifiche come la prospettiva, la psicanalisi o la fotografia, ad esempio, sono scoperte rivoluzionarie che hanno modificato radicalmente i punti di vista e le idee di intere generazioni d’artisti. L’idea scientifica di realtà viene trasformata da Leonardo in arte sublime, in una concezione di arte che per la prima volta è genio puro prima ancora che mestiere. E cosi è accaduto per la prospettiva, un concetto matematico altrettanto legato ad un’epoca precisa, che per Masaccio, Masolino, Piero e tutti i pittori successivi rappresenterà la conquista di quell’idea di spazio destinata a segnare una delle tappe più importanti del pensiero umano. Nel XX secolo è indubbio che le principali rivoluzioni sono state provocate dalla psicanalisi di Freud e dall’innovazione della fotografia, con tutte le loro ben note conseguenze e degenerazioni. Le varie conquiste dell’Arte Povera, di Fluxus o della Video Art in genere, cosi importanti e innovative all’inizio, hanno dato origine ad accademie degenerate e degeneranti, senza fantasia né rigore , senza idee né particolari concetti da trasmettere se non quelle del facile arricchimento e della fama a tutti i costi.

Ma la fotografia, nel suo incontro con la grande tradizione pittorica del passato – ove per altro il concetto di camera ottica era già ben noto – ha dato origine ad un ricco filone di indagine artistica che, passando dalla fedele rappresentazione della realtà, ha cercato di scrutare, cogliere e rappresentare, al pari delle grandi opere del passato, il mistero del mondo e dei suoi moti. Sopratutto negli Stati Uniti, paese fino ad allora con una tradizione pittorica figlia dell’Europa, le potenzialità dei nuovi mezzi diventano primario strumento di analisi. L’iperrealismo degli anni “70 “ad esempio, si prefiggeva di rappresentare la realtà nella sua esattezza più assoluta attraverso la pittura, un linguaggio più vivo, caldo e personale rispetto alla fotografia. I celebri ritratti di Chuck Close o le vetrine trompe l’oeil di Rchard Estes, al pari delle sculture di John De Andrea e Duane Hanson, sono il felice e modernissimo risultato di un’idea fotografica della realtà unita ad un virtuosismo tecnico di assoluta eccellenza. In Europa l’idea americana di iperrealismo si arricchisce di connotazioni profonde e inquiete, diventando il punto di partenza per una nuova arte fortemente metafisica nel suo tentativo di trascendere la realtà attraverso la realtà stessa. Le opere di Antonio Lopez-Garcia o di Gianfranco Ferroni sono emblematiche di un realismo fotografico pregno di vivo coinvolgente e silenziosa inquietudine intellettuale. Anche le impressionanti vanitates di

Carlo Ferrari, piene di riferimenti a Caravaggio nella loro esasperata ricerca sulla luce, sono tra le più profonde e supreme dimostrazioni delle conseguenze europee dell’iperrealismo d’oltre oceano. Certamente figlio, artisticamente parlando, di Luciano Ventrone, ma fin dall’inizio indirizzato su vie di propria originalità, è Carlo Ferrari. Partito come infaticabile fisiologo dei grandi capolavori di Caravaggio, Velazquéz e Ribera,

Ferrari ha, nel corso di trent’anni di rigoroso esercizio e studio, conquistato una propria concezione di realismo nel quale lo spirito delle antiche vanitates si rinnova con prepotente potenza. Ferrari sa e ha ben capito che essere un pittore figurativo è impresa ardua e complessa. Dipingere e trasformare in proiezione mentale, utilizzando come simbolo o metafora, ciò che tutti conoscono e che hanno sotto gli occhi quotidianamente è quanto di più difficile un pittore possa proporsi. Basta un’imperfezione, un’ombra o una prospettiva sbagliate, un colore impuro o una minima distorsione per spezzare l’incantesimo e far crollare l’intera composizione.

Sopratutto quando la realtà intende alludere a qualcosa di irreale, quando gli oggetti rappresentati non intendono esprimersi in quanto tali, ma rinchiudere e comunicare valori, umori, stati d’animo, concetti e sensazioni solo e squisitamente umani. E’ la difficile sfida che Ferrari si è posto con infaticabili volontà e umiltà: esprimere sensualità e misticismo, attraverso rappresentazioni iperrealistiche di fiori, grandi fiori, in vanitates che uniscono antica bellezza a contemporanee suggestioni.

Le composizioni di grandi papaveri, fluttuanti in spazi bui e senza dimensioni, non sono più soggetti di nature morte tradizionalmente intese, ma diventano qui i motori di eterne passioni, di scontri senza fine e senza memoria; la rappresentazione pittorica di sentimenti e contrasti che si agitano nell’uomo sin dagli albori della sua storia.

In questi dipinti protagonista assoluta è la luce, qui esasperata e ricercata in riflessi estremi e accecanti, in trasparenze carnose e sensuali, in ombre cariche di mistero e sacralità. E’ la grande tradizione  barocca che qui si ritrova e rinnova in una concezione allegorica e intellettuale dell’arte che trasforma e trascende la realtà, la domina, ingigantendola o riducendola, sempre trasfigurandola fuori dalle sue dimensioni. La realtà diventa allora un pretesto e viene elevata a metafora suprema di emozioni e stati d’animo senza tempo. Il tutto senza mai rinunciare alla bellezza, ad un’idea di bello che seduce l’osservatore nel suo essere metafora del divino; risultato misterioso e insondabile del genio umano nella sua dimensione più mistica e sensuale.

Reggio Emilia, Marzo 2000 Alberto Agazzani